Il monumento fu eretto dalla nobildonna Vittoria Caprara in memoria dello zio Ludovico Antonio e dei genitori Bianca e Carlo, la quale decise alla morte del padre di trasferirne le spoglie da Milano, per riunire vicino a sé i parenti e per mantenerne il ricordo presso la cittadinanza felsinea. Carlo Caprara (1755-1816) fu ministro del Regno d’Italia e nel 1805, in occasione della visita a Bologna di Napoleone, ospitò Bonaparte nella propria residenza.
Il monumento, capolavoro dello scultore, interpreta appieno il desiderio della committente di voler identificare ed encomiare i defunti sin dalla scelta dell’uso del marmo, un materiale pregiato, all’epoca difficilmente reperibile in città per gli altissimi costi legati all'importazione. L'articolata composizione neoclassica è di impronta canoviana, richiamando la struttura del Mausoleo di Maria Cristina d’Austria a Vienna. Nella parte centrale della composizione Giacomo De Maria (1762-1838), diversamente dal suo maestro Antonio Canova, vi ha posto un'incavo con una lapide e un’urna cineraria. Lo spazio lasciato vuoto accanto all’urna è destinato ad esserne occupato da un’altra che la Pietà filiale, rappresentazione ideale di Vittoria Caprara, tiene tra le mani. Tale figura è preceduta da un piccolo genio della morte recante un ramo di cipresso.
Nella parte superiore del complesso è collocata la Religione, che appare incoronata di raggi luminosi e reggendo la Croce. Al suo fianco vi è il felsineo leone, ulteriore citazione canoviana, questa volta dal Monumento al pontefice Clemente XIII. A destra siede l’Eternità, comunemente chiamata dai bolognesi la Velata, marmo che ottenne un enorme successo, divenendo un modello richiesto in altre committenze, come nella tomba Fornasari e in quella Levi nel Chiostro Maggiore, entrambe eseguite da Giovanni Putti. Con reciprocità i due colleghi si omaggiano vicendevolmente in questa ed altre loro opere.